Il Rapporto Chilcot ha messo in luce l’assurdità del conflitto per abbattere Saddam Hussein che ha trasformato il Paese in una sentina di terroristi.
Giovanni Paolo II non aveva la forza politica per far prevalere il buon senso. L’unica possibilità era quella di mobilitare l’opinione pubblica proponendo gesti di pace alla portata di ogni persona, come il digiuno e la preghiera. E quando ormai la guerra apparve irreversibile, Wojtyla aveva annunciato per il 5 marzo una giornata di preghiera e di digiuno per la pace in Medio Oriente, un invito raccolto dall’intera opinione pubblica mondiale.
Domenica 16 marzo, affacciandosi per l’Angelus, Giovanni Paolo II aveva detto: «Di fronte alle tremende conseguenze che un’operazione militare internazionale avrebbe per le popolazioni dell’Iraq e per l’equilibrio dell’intera regione del Medio Oriente, già tanto provata, nonché per gli estremismi che potrebbero derivarne, dico a tutti: c’è ancora tempo per negoziare; c’è ancora tempo per la pace; non è mai troppo tardi per comprendersi e per continuare a trattare». Wojtyla aveva lanciato due moniti alle parti in causa: «I responsabili politici di Baghdad hanno l’urgente dovere di collaborare pienamente con la comunità internazionale, per eliminare ogni motivo d’intervento armato. A loro è rivolto il mio pressante appello: le sorti dei loro concittadini abbiano sempre la priorità!». Mentre agli Stati Uniti, all’Inghilterra ed alla Spagna aveva ricordato, senza nominarli espressamente, «che l’uso della forza rappresenta l’ultimo ricorso, dopo aver esaurito ogni altra soluzione pacifica, secondo i ben noti principi della stessa Carta dell’ONU».
Poi l’anziano Papa aveva improvvisato, aggiungendo alcune accorate parole: «Io appartengo a quella generazione che ha vissuto la seconda Guerra Mondiale ed è sopravvissuta. Ho il dovere di dire a tutti i giovani, a quelli più giovani di me, che non hanno avuto quest’esperienza: “Mai più la guerra!”, come disse Paolo VI nella sua prima visita alle Nazioni Unite. Dobbiamo fare tutto il possibile! Sappiamo bene che non è possibile la pace ad ogni costo. Ma sappiamo tutti quanto è grande questa responsabilità. E quindi preghiera e penitenza!».
Bisognava ascoltare di più la voce di quel vecchio testimone degli orrori del Novecento nella sua martoriata Polonia, invece di fare una guerra sulla base di menzogne, senza la copertura dell’Onu e senza pensare al dopoguerra.Bisognava ascoltare di più la voce dei cristiani dell’Iraq, sbeffeggiati e bollati come «pacifisti» al soldo di Saddam anche da alcuni media cattolici sempre pronti a indossare l’elmetto. «Quando riusciamo a far sentire la nostra voce» diceva il vescovo irakeno Shlemon Warduni, «cerchiamo di far capire che in Occidente si sa poco dell’Iraq e delle sue dinamiche. Intervenire sulla base di conoscenze così scarse, o addirittura sulla base di convinzioni errate, può portare a un colossale disastro. L’embargo ha già fatto danni enormi, i giovani migliori, quelli in gamba e preparati, se ne sono andati, e il resto della popolazione è impoverito. Si parla tanto delle armi, è giusto, ma perché sono pericolose solo quelle dell’Iraq?». In un libro-intervista intitolato «Dio non vuole la guerra in Iraq» Warduni ricordava: «Appena proviamo a dire che la guerra non è la soluzione, subito ci gridano contro: ecco, quelli stanno con Saddam, sono suoi complici».
Non erano «complici», erano soltanto realisti, per nulla ammaliati dalle sirene interessate sulla «democrazia da esportare». Avevano capito a che cosa si sarebbe andati incontro destabilizzando l’intera regione e corroborando il fondamentalismo e il terrorismo, come puntualmente accaduto. E a noi non fanno ormai più effetto le autobomba quasi quotidiane, che continuano a mietere vittime innocenti meritando poche righe in cronaca, tredici anni dopo quella guerra-lampo che aveva «liberato» il Paese dall’odioso dittatore Saddam.